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Il valore e le cose
Teorie, critica e nuove prospettive
Traccia per il seminario POE
Pisa 28-29 novembre 2019
Aula Magna Dipartimento di Scienze Politiche
Via Serafini, 3 (vedi mappa)
Maura Benegiamo, Laura Centemeri, Emanuele Leonardi, Dario Minervini e Luigi Pellizzoni
La problematica del valore, e in particolare del valore economico, è un nodo centrale nelle spiegazioni attuali della crisi ecologica.
Per i sostenitori del mercato, è perché non si dà valore economico all’ambiente che esso ha potuto essere sfruttato e degradato. Il fallimento del mercato, letto in chiave di esternalità, conduce, paradossalmente, alla creazione di nuovi mercati, su fondo di una posizione normativa più o meno esplicitata che assume che il mercato sia uno strumento capace di ottimizzare il rapporto fra efficienza e libertà. “Il mercato fallisce? Viva il mercato!”.
All’opposto, in chiave neo-marxista, la crisi ecologica trova la sua radice nella peculiare “legge del valore” capitalista, cioè “il funzionamento storico effettivo” di una “teoria del valore” che si basa sulla cristallizzazione della natura umana ed extra-umana nella forma del lavoro sociale astratto (quella che Jason Moore chiama “natura a buon mercato”). Questi processi si caratterizzano per dinamiche di “estrazione di valore”, così come classicamente intesi dalla teoria critica, per cui a seguito di una messa a valore della sfera ecologica, attraverso determinati processi di produzione, si procede poi alla massimizzazione del profitto attraverso strategie di concentrazione della proprietà (es: concentrazione monopolistica nel settore agroalimentare) e/o di finanziarizzazione. All’interno di tali processi però, il ruolo sempre più centrale giocato dalla conoscenza e dalle forme del coinvolgimento emozionale nell’aprire inedite possibilità di sfruttamento diretto dei corpi e delle capacità riproduttive (umane e non-umane) muovono nuovi interrogativi circa la “natura” dell’accumulazione, portando a ripensare l’insieme delle categorie marxiane di valore e lavoro, e quindi di sfruttamento e alienazione.
Una terza posizione è quella degli approcci convenzionalisti che cercano di restituire i processi che concretamente portano a dare un valore economico, tra le altre cose anche alla natura. Qui l’intento descrittivo sembra prevalere su quello normativo e non è chiara la relazione tra questi approcci e il pensiero critico. Se una critica c’è, quest’ultima è principalmente rivolta agli approcci totalizzanti e che tendono a sovra-determinare le situazioni, senza prestare attenzione a come concretamente gli attori in situazione costruiscono misure comuni di giudizio, monetizzano e capitalizzano. Attenti alla diversità e alle contingenze, questi approcci sociologici sono spesso percepiti come politicamente “dubbi” in quanto non avanzano alcuna teorizzazione alternativa in termini di cosa è il valore e di quali leggi lo governano, trovandosi così in difficoltà nel dare una rappresentazione del capitalismo e delle sue dinamiche.
In questo seminario vorremmo dunque aprire uno spazio di discussione sui limiti (ma anche sulle potenzialità) delle due principali teorie del valore economico (marxista classica e marginalista) nel pensare il valore in senso più ampio, cioè come dispositivo politico, e in particolare come dispositivo politico progressista, riflettendo sulla loro attualità nel quadro della crisi ecologica e confrontandoli con prospettive differenti, quali appunto gli approcci convenzionalisti ma anche il modo in cui la problematica viene elaborata presso culture non occidentali o “non-moderne” e, nell’occidente contemporaneo, nell’alveo dell’economia informale e più in generale della reciprocità come forma di scambio. Vorremmo, cioè, invitare a un esercizio di riflessività sull’uso che della teoria del valore viene fatto nel definire le forme contemporanee di oppressione e di emancipazione, in particolare l’intreccio tra ingiustizie sociali ed ingiustizie ecologiche. Vorremmo inoltre proporre una riflessione sulle difficoltà a spiegare in modo soddisfacente il legame esistente tra i valori come dimensione dell’esperienza e dell’azione e il valore in senso economico.
La crisi ecologica, infatti, riporta in primo piano il tema polanyiano dello “sradicamento” dell’economia di mercato, cioè uno scollamento tra ciò che è necessario per permettere alla vita umana di riprodursi in una certa forma e ciò che viene a contare come valore economico.
A questo proposito, la questione del valore economico è indagata dall’antropologia e dalla sociologia nella sua relazione con l’azione e con la cultura (i valori).
Questa riflessione sul legame tra il valore in senso assiologico, l’esperienza e l’azione e il valore come dato economico apre a una esplorazione che si può articolare (almeno) nel modo seguente:
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Quali piste abbiamo per andare oltre le analisi del valore ereditate dal XIX secolo? In questa esplorazione ci interessa portare l’attenzione sul debito che queste teorizzazioni hanno rispetto a un certo quadro epistemologico, basato sul modello speculativo euclideo che individua, isola, rende discrete e comparabili le entità del mondo “in comune” (John Law). E’ il modello condiviso dalla fisica ottocentesca (dunque precedente alla svolta quantistica e al principio di indeterminazione) che prefigurava un modello meccanicistico/automatico del vivente.
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Se problematizziamo le teorie del valore, come dare conto del funzionamento del capitalismo come fenomeno internamente differenziato eppure sistemicamente coerente?
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è possibile immaginare modellizzazioni alternative che potrebbero aiutarci a capire il suo funzionamento? Possono i concetti di plasticità e morfogenesi esserci d’aiuto? Come queste modellizzazioni possono aiutare nell’elaborare una critica dell’attuale sistema e nello sviluppare un immaginario sociotecnico di società ecologica?
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L’antropologia partecipa alla riflessione sulla questione del valore (si veda David Graeber) riportandola al centro del proprio dibattito disciplinare. In particolare, il legame tra l’azione e la creazione di valore diventa il fulcro di alcune analisi antropologiche che rintracciano e ricostruiscono i modi attraverso cui il valore è prodotto nell’azione (value in action).
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La questione del valore, da un punto di vista ontologico, si pone al crocevia di alcune opposizioni polari, in particolare quella di forma/sostanza e di soggetto/oggetto. La tensione tra queste polarità si può cogliere sia nell’opposizione che all’interno stesso dei principali “contendenti” moderni (teoria neoclassica, basata sull’idea di utilità, e teoria marxiana, basata sulla nozione di lavoro), come pure in prospettive differenti quale quella delle convenzioni. La prospettiva pragmatica aggira solo in parte il problema, che rimane al centro dell’accumulazione capitalista e più in generale dell’ontologia moderna dell’illimitatezza o della convenzionalità dei limiti.
Alla luce di un ripensamento del valore, del modo di teorizzarlo e studiarlo con la ricerca empirica, e soprattutto in relazione alla questione ecologica, appare importante interrogarsi su quali possano essere le visioni che ne derivano in termini di approcci allo studio del funzionamento del capitalismo contemporaneo. Da qui il titolo dato al seminario POE3, Il valore e le cose; titolo che volutamente richiama Le parole e le cose, uno dei testi più importanti di Michel Foucault, in quanto formula una domanda molto simile a quella che motiva tale testo – quali sono le condizioni di verità che, in un dato momento storico, definiscono lo statuto del reale – ma la formula ponendo l’accento su come il valore si ponga al centro, quale sorta di snodo, del nesso tra materialità, relazioni umane e definizioni del mondo e del suo ordinamento.